Le nostre ditte orafe, i nostri prodotti, il made in Italy che si produce ad Arezzo e che in tutto il mondo è conosciuto, dai semilavorati al finito, dai gioielli al bijoux, i nostri artigiani, i nostri designer e dunque i nostri lavoratori sono sotto attacco a opera della fiera di Vicenza retta dal figlio di papà Matteo Marzotto che se ne infischia degli investimenti e delle prestazioni delle aziende aretine che da anni partecipano alla sua kermesse.
La vicenda della Sem.ar. srl, ditta che per migliorare le sue prestazioni commerciali e l’accoglienza ai clienti aveva fatto realizzare uno stand su misura per poi vedersi costretta a esporre, con metodi ricattatori, in uno stand che doveva essere realizzato e allestito direttamente dalla fiera, è emblematica del clima che si respira in quella rassegna. La Sem.ar. srl ha vissuto una situazione veramente grave e imbarazzante, ha alzato la testa protestando per questo, denunciando il reale stato di cose che per colpa di Matteo Marzotto e del direttore Corrado Facco, molti orafi aretini hanno vissuto. Vicenda appoggiata e sostenuta dalle associazioni di categoria aretine ma con troppa timidezza e riverenzialità. Riverenza non ripagata, vista l’indegna ritorsione: alla ditta è stata negata la possibilità di esporre alla fiera di settembre 2015. Oltre al danno, la beffa.
È venuto il momento di porre una domanda seria al sistema economico e alle istituzioni: come è possibile instaurare un corretto rapporto con la fiera orafa veneta, considerando il fatto che gli espositori orafi aretini hanno un ruolo fondamentale sia come numero di addetti che come manifattura rappresentata? Moltissime aziende sono scontente di come sono gestite le cose, con costi altissimi, aumentati oramai a dismisura. Se il sistema economico aretino mostrasse compattezza e coraggio, potrebbe indurre ad abbassare la cresta al signor Matteo Marzotto che da sempre assume incarichi solo per il nome blasonato e costringere alle dimissioni l’attuale direttore generale Corrado Facco. Perché a un management che si comporta così, resta una sola strada: dimissioni. E senza strette di mano.
Le istituzioni aretine, dal canto loro, dall’amministrazione comunale alla Camera di Commercio, non possono non fare sentire la loro voce: le nostre imprese devono sopravvivere a dispetto dei ras delle fiere orafe, non possono vedere danneggiati impegni, amore per la professione e posti di lavoro da chi crede di poter disporre tutto in virtù del cognome presunto altisonante riportato nella carta d’identità.